Se
non vado errato, la prima realizzazione di un'opera monumentale, a Torino,
all’ingresso del terzo millennio, è toccata a Massimo Ghiotti,
figura seria ed appartata della cultura artistica torinese, ma noto già
per aver compiuto lavori scultorei sul territorio, in circostanze diverse.
Ho creduto di dover sottolineare un certo contegno comportamentale dello scultore
perché, se ad un primo sguardo, il complesso delle realizzazioni “architettate”
per questa piazza di Santa Rita, appariranno convincenti perché dotate
di colori squillanti, e ludiche nella loro disseminazione “casuale”
sulla superficie rettangolare della piazza stessa, ad una seconda lettura
dovremmo invece accorgerci del lungo lavoro di riflessione da cui queste opere
si sono liberate.
Lo spazio a disposizione - di grande impegno dimensionale e soprattutto circondato
da una serie di elementi visivo-architettonici di non trascurabile difficoltà
sul fronte del confronto ineludibile opera/ambiente - è stato interpretato
con grande equilibrio sul versante del rapporto pieni-vuoti, parti in primo
piano e parti arretrate.
Ne è scaturito soprattutto un complesso di sculture organico alla
piazza e non imposte alla piazza. L’artista non ha inserito tre
suoi lavori in uno spazio neutro resosi libero, ma ha inteso dare precisa
animazione formale e simbolica ad uno spazio che, pur contaminato da segni
architettonici di diseguale valore, aspettava di diventare qualcosa d’altro
proprio tramite questi nuovi interventi segnici.
Ed ecco la sequenza di questi lavori scultorei: “VESSILLO”, su
uno degli spigoli in vista, che si presenta come un’architettura astratta,
un’ipotesi di bandiera geometrica dai colori giallo blu, identificativi
della città di Torino.
Sul fronte opposto, un’ altra architettura astratta, intitolata “LIAISON”,
sembra configurarsi come punto di riferimento per un meditazione appartata
come luogo simbolico di aggregazione per una piccola comunità.
E, accortamente non al centro fisico-spaziale della piazza, ecco apparire
“SVELATA”, una fontana contemporanea atta a dare il tono complessivo
all’intera area: per molti secoli non si è data piazza di rango
che non avesse una fontana al suo interno, e non ricordo in tutta quella zona
di Torino - nata sostanzialmente negli ultimi quarant'anni - una piazza avente
queste caratteristiche (Piazza Dante Livio Bianco è nata successivamente
ed ha aspetto completamente diverso).
Il linguaggio astratto/geometrico di Ghiotti, memore delle esperienze dell’Astrattismo
internazionale del XX secolo, più volte riaffacciatosi sulla scena
della ricerca artistica dopo la stagione delle Avanguardie storiche, viene
interpretato in queste sculture monumentali secondo un consapevole innesto
di rigore e libertà: l’uso degli angoli retti non esclude snodi
più intriganti, una curva può innestarsi su forme quadrate,
le combinazioni di colori primari possono lasciare lo spazio ad una forma
tutta rossa, intelligentemente posta a confronto, per contrasto, con il dinamismo
calcolato e discreto (e quindi non petulantemente esagerato e protervo), dell’acqua
che la percorre e la anima.
È certo la fontana rossa il fulcro scenico della piazza: ma che proprio
perché introdotta dalle quinte delle altre due opere poteva risaltare
meglio, e perché il linguaggio geometrico/descrittivo adoperato da
Ghiotti potesse dispiegarsi in un gioco di varianti allargato e quindi non
statico. Chi avrà modo di gettare non già uno sguardo distratto
sulla piazza, ma di percorrerla lungo i confini, o passarvi attraverso secondo
percorsi non univoci, potrà infatti cogliere contatti e contrasti più
segreti tra le diverse forme, e scoprire infine quanto queste “sculture”
abbiano saputo trasformare la percezione dello spazio per le quali sono state
realizzate.
Riccardo Passoni Galleria Arte Moderna Torino